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Il padre di Margherita, Roberto Hack, era un contabile di origini svizzere e di religione protestante. La madre, Maria Luisa Poggesi, toscana, era di religione cattolica e diplomata all'Accademia di Belle Arti e miniaturista alla Galleria degli Uffizi.
Entrambi i genitori avevano abbandonato la loro religione d'origine per aderire alla Società Teosofica Italiana, per la quale Roberto Hack fu per un certo periodo segretario sotto la presidenza della contessa Gamberini-Cavallini[1][2].
Margherita Hack, dopo aver compiuto gli studi (senza sostenere gli esami di maturità a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale) presso il Liceo Classico "Galileo" di Firenze, si laureò in fisica nel 1945 con una votazione di 101/110[3] con una tesi di astrofisica sulle Cefeidi, realizzata sempre a Firenze presso l'osservatorio di Arcetri[4] quando ne era direttore Giorgio Abetti, che per lei restò sempre un modello di scienziato, insegnante e gestore di un centro di ricerca scientifica.[5]
In gioventù la Hack, oltre alla pallacanestro, praticò con successo l'atletica leggera. Fu campionessa di salto in alto e in lungo in campionati universitari (sotto il regime fascista si chiamavano Littoriali) [6][7][8]. Il 19 febbraio 1944 sposò con cerimonia religiosa, nella chiesa di San Leonardo in Arcetri, Aldo De Rosa[9].
Morì il 29 giugno 2013, alle ore 4:30 del mattino, all'ospedale di Cattinara a Trieste, dove era ricoverata da una settimana per problemi cardiaci; da circa due anni accusava problemi di natura respiratoria e motoria[10].
Hack, Margherita. - Astronoma italiana (Firenze 1922 - Trieste 2013). Direttrice dell'Osservatorio astronomico di Trieste (1964-87), con la sua gestione ha contribuito sostanzialmente allo sviluppo di questa istituzione sul piano nazionale e internazionale. Si è interessata particolarmente di fisica, spettroscopia ed evoluzione stellare e ha associato alla copiosa produzione di saggi scientifici una costante attività di divulgazione.
Prof. di astronomia dal 1964 al 1997 all'univ. di Trieste, dove è prof. emerita; direttrice dell'Osservatorio astronomico di Trieste (1964-87). Anche all'interno dell'università la sua attività didattica e di ricerca favorì la creazione di un vero e proprio Istituto di Astronomia (1980), poi sostituito nel 1985 da un Dipartimento, che H. diresse fino al 1990. Socio nazionale dei Lincei dal 1987. Impegnata da sempre nel campo della divulgazione scientifica, ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra i quali si ricordano il Premio Linceo dell'Accademia dei Lincei (1980) e il Premio della Cultura della Preside
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Nelson Mandela è stato ed è il simbolo del Sud Africa, appellativo che si è conquistato in un'intera vita spesa alla lotta contro l'apartheid ed alla conquista della libertà per il suo popolo. Quello che ha sempre colpito in lui è la sua statura morale e la convinzione con cui ha vissuto la propria vita in favore degli altri.
Figlio di un capo della tribù Thembu (e quindi, secondo il sistema di caste tribali vigente in Africa, di origini aristocratiche), Nelson Rolihlahla Mandela nasce il 18 luglio 1918. Dopo aver seguito gli studi nelle scuole sudafricane per studenti neri conseguendo la laurea in giurisprudenza, nel 1944 entra nella politica attiva diventando membro dell'ANC (African National Congress) guidando per anni campagne pacifiche contro il cosiddetto "Apartheid", ossia quel regime politico che favorisce, anche sul piano legale e giuridico, la segregazione dei negri rispetto ai bianchi.
Del 1960 è l'episodio che segnerà per sempre la vita del leader nero. Il regime di Pretoria, durante quello che è conosciuto come "il massacro di Shaperville", elimina volontariamente e con una proditoria operazione 69 militanti dell'ANC.
In seguito, mette al bando e fuorilegge l'intera associazione. Mandela, fortunatamente, sopravvive alla strage e riesce a fuggire. Raccolti gli altri esponenti rimasti in vita, dà vita ad una frangia militarista, decisa a rovesciare il regime e a difendere i propri diritti con le armi. Viene arrestato nel 1963 e dopo un procedimento durato nove mesi è condannato all'ergastolo.
La più alta testimonianza dell'impegno politico e sociale di Mandela la si ritrova proprio nel discorso pronunciato di fronte ai giudici del tribunale, prima che questi pronunciassero il loro verdetto: "Sono pronto a pagare la pena anche se so quanto triste e disperata sia la situazione per un africano in un carcere di questo paese. Sono stato in queste prigioni e so quanto forte sia la discriminazione, anche dietro le mura di una prigione, contro gli africani... In ogni caso queste considerazioni non distoglieranno me né altri come me dal sentiero che ho intrapreso. Per gli uomini, la libertà nella propria terra è l'apice delle proprie aspirazioni. Niente può distogliere loro da questa meta. Più potente della paura per l'inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni, in questo paese... non ho dubbi che i posteri si pronunceranno per la mia innocenza e che i criminali che dovrebbero essere portati di fronte a questa corte sono i membri del governo".
Passano più di vent'anni e, malgrado il grande uomo sia costretto alla segregazione carceraria, lontano dagli occhi di tutti e dalle luci dell'opinione pubblica, la sua immagine e la sua statura crescono sempre di più nell'opinione pubblica e per gli osservatori internazionali.
Il regime tiene Mandela in gattabuia ma è sempre lui il simbolo della lotta e la testa pensante della ribellione. Nel febbraio del 1985, cosciente di questo stato di cose e ben consapevole che ormai non si poteva più toccare un tale simbolo, pena la ribellione di vasti strati dell'opinione internazionale, l'allora presidente sudafricano Botha offre a Mandela la libertà purché rinneghi la guerriglia. In realtà, l'accusa di sovversione armata, l'accenno alla guerriglia appunto, è solo un modo per gettare discredito sulla figura di Mandela, prospettando il fatto che fosse di base un personaggio predisposto alla violenza. Ad ogni modo Mandela rifiuta l'offerta, decidendo di restare in carcere.
Nel 1990 su pressioni internazionali e in seguito al mancato appoggio degli Stati Uniti al regime segregazionista, Nelson Mandela viene liberato.
Nel 1991 è eletto presidente dell'Anc, movimento africano per la lotta all'apartheid. Nel 1993 è insignito del premio Nobel per la pace mentre l'anno dopo, durante le prime elezioni libere del suo paese (le prime elezioni in cui potevano partecipare anche i neri), viene eletto Presidente della Repubblica del Sudafrica e capo del governo. Resterà in carica fino al 1998.
Nella sua breve vita politica ufficiale ha dovuto subire anche un'altra logorante battaglia. Trentanove case farmaceutiche intentarono un processo a Nelson Mandela portandolo in tribunale. L'accusa era quella di aver promulgato nel 1997 il "Medical Act", una legge che permetteva al Governo del Sud Africa di importare e produrre medicinali per la cura dell'Aids a prezzi sostenibili. A causa delle proteste internazionali che tale causa ha sollevato, le suddette multinazionali hanno poi deciso di desistere dal proseguire la battaglia legale.
Sul piano della vita privata, il leader nero ha avuto tre mogli. Della prima consorte, sposata assai giovane, si sa ben poco. La seconda è la celebre Winnie, impalmata nel 1958 e diventata grazie alla sua strettissima unione con il marito sia in campo civile che politico, "madre della nazione africana". Durante gli anni difficili del marito è stata tuttavia travolta da scandali di vario tipo, dal sequestro di persona all'omicidio. Nel 1997 i due si sono ufficialmente separati, con tanto di divorzio legale. Mandela però, sebbene ottantenne, si è poi risposato con la cinquantenne Gracia, vedova del presidente del Mozambico, assassinato in un incidente aereo organizzato dai servizi segreti del regime segregazionista bianco.
Nel giugno 2004, all'età di 85 anni, ha annunciato il suo ritiro dalla vita pubblica per passare il maggior tempo possibile con la sua famiglia. Il 23 luglio dello stesso anno, con una cerimonia tenutasi a Orlando (Soweto), la città di Johannesburg gli ha conferito la più alta onorificenza cittadina, il "Freedom of the City", una sorta di consegna delle chiavi della città. Nelson Mandela muore all'età di 95 anni il giorno 5 dicembre 2013.
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Alberto Manzi (Roma, 3 novembre 1924 – Pitigliano, 4 dicembre 1997) è stato un pedagogista, personaggio televisivo e scrittore italiano, noto principalmente per essere stato il conduttore della trasmissione televisiva Non è mai troppo tardi, messa in onda fra il 1960 ed il 1968.
Laureato in Pedagogia, nel dopoguerra era stato educatore presso il carcere minorile "Ferrante Aporti" di Torino, dove quattro insegnanti prima di lui avevano rinunciato all'incarico, per poi dedicarsi all'insegnamento come maestro elementare.
Scrisse diversi libri per ragazzi: il più famoso è Orzowei, pubblicato nel 1955, da cui fu tratta negli anni '70 la serie televisiva omonima, che ebbe grande successo, per la Tv dei ragazzi.
Fu scelto nel 1960 per presentare il programma Non è mai troppo tardi che prese il via il 15 novembre, concepito come strumento di ausilio nella lotta all'analfabetismo. Il programma, curato insieme a Oreste Gasperini e Carlo Piantoni, ebbe grande successo e lo rese famoso; riproduceva in televisione delle vere e proprie lezioni di scuola primaria, con metodologie didattiche innovative (Manzi al suo "provino" strappò il copione che gli era stato dato e improvvisò una lezione alla sua maniera), dinanzi a classi composte di adulti analfabeti o quasi.
La trasmissione andò in onda per ben otto anni, e fu di grande interesse e di grande rilevanza sociale: si stima che quasi un milione e mezzo di persone abbiano conseguito la licenza elementare grazie a queste lezioni a distanza, svolte di fatto secondo un vero e proprio corso di scuola serale. Le trasmissioni avvenivano nel tardo pomeriggio, prima di cena; Manzi utilizzava un grosso blocco di carta montato su cavalletto sul quale scriveva, con l'ausilio di un carboncino, semplici parole o lettere, accompagnate da un accattivante disegnino di riferimento. Usava anche una lavagna luminosa, per quei tempi assai suggestiva. La ERI, casa editrice della RAI, pubblicava materiale ausiliario per le lezioni, quali quaderni e piccoli testi.
Concluso il programma, dopo alcune brevi e sporadiche programmazioni radiotelevisive su temi legati all'istruzione, Manzi tornò quasi a tempo pieno all'insegnamento scolastico classico, interrotto di tanto in tanto per delle campagne di alfabetizzazione degli italiani all'estero. Fece diversi viaggi in America latina per collaborare alla promozione sociale dei contadini più poveri. Tornò alla ribalta nel 1981, allorché si rifiutò di redigere le appena introdotte "schede di valutazione", che la riforma della scuola aveva messo al posto della pagella; Manzi si rifiutò di scriverle perché «non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno, l'abbiamo bollato per i prossimi anni».
La "disobbedienza" gli costò la sospensione dall'insegnamento e dalla paga. L'anno dopo il Ministero della Pubblica Istruzione fece pressione su di lui per convincerlo a scrivere le attese valutazioni. Manzi fece intendere di non avere cambiato opinione, ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa uguale per tutti tramite un timbro; il giudizio era: "fa quel che può, quel che non può non fa". Il Ministero si mostrò contrario alla valutazione timbrata, al che Manzi ribatté: «Non c'è problema, posso scriverlo anche a penna». Nel 1992 la RAI ripropose Manzi ne L'italiano per gli extracomunitari, 60 puntate televisive, in onda su Rai 3 per insegnare la lingua italiana agli extracomunitari.
Ad Alberto Manzi sono intitolate diverse scuole in Italia[1].
Dal 1995 al 1997 fu sindaco di Pitigliano, eletto tra i Democratici di Sinistra.
La Rai ha prodotto una miniserie televisiva in due puntate dedicata alla sua vita con il titolo Non è mai troppo tardi, interpretata da Claudio Santamaria. La fiction è stata trasmessa il 24 e 25 febbraio 2014 da Rai 1[2].
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(dal sito http://www.aicu.it associazione italiana Carlo Urbani)
Carlo Urbani nasce a Castelplanio, in provincia di Ancona, il 19 Ottobre 1956.
Già da giovane si dedica ai più bisognosi ed è una presenza costante nell’ambito parrocchiale: collabora a raccogliere le medicine per Mani Tese, promuove un Gruppo di solidarietà che organizza vacanze per i disabili, entra a fare parte del Consiglio Pastorale Parrocchiale; suona inoltre l'organo e anima i canti. Il suo grande amore non è solo per il prossimo, ma anche per la bellezza, per la musica e per l’arte.
Il desiderio di prendersi cura delle persone sofferenti lo porta a scegliere gli studi di Medicina e la specializzazione in malattie infettive. Dopo la laurea, lavora in un primo tempo come medico di base, poi diviene aiuto nel reparto di malattie infettive dell'Ospedale di Macerata, dove rimane dieci anni. Nel frattempo sposa Giuliana Chiorrini. Insieme avranno tre figli: Tommaso, Luca e Maddalena. Sono gli anni in cui Carlo comincia a sentire più forte il richiamo ad assistere i malati dimenticati, trascurati dai paesi opulenti, dai giochi di potere, dagli interessi delle case farmaceutiche. Con altri medici organizza, dal 1988-89, dei viaggi in Africa centrale, per portare aiuto ai villaggi meno raggiungibili. Ancora una volta la sua comunità parrocchiale lo accompagna e lo sostiene con un ponte di aiuti alla Mauritania.
La conoscenza diretta della realtà africana gli rivela con chiarezza che le cause di morte delle popolazioni del Terzo Mondo sono troppo spesso malattie curabili - diarrea, crisi respiratorie - per le quali mancano i farmaci che nessuno ha interesse a fare giungere a un mercato così povero. Questa realtà lo coinvolge al punto che decide di lasciare l'ospedale, quando ormai ha la possibilità di diventare primario.
Nel 1996 entra a fare parte dell'organizzazione Médecins Sans Frontières e parte insieme alla sua famiglia per la Cambogia, dove si impegna in un progetto per il controllo della schistosomiasi, una malattia parassitaria intestinale. Anche qui rileva le forti ragioni sociali ed economiche del diffondersi delle malattie e della mancanza di cure: si muore di diarrea e di Aids, ma i farmaci per curare la infezione e le complicanze sono introvabili.
Nella sua veste di consulente dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per le malattie parassitarie ha l'opportunità di ribadire ulteriormente che la causa primaria del diffondersi delle malattie è la povertà. Come Medico Senza Frontiere, l’interesse primario di Carlo è nella cura dei malati, tuttavia non può tacere sulle cause che provocano quelle sofferenze.
Nell'aprile del 1999 viene eletto presidente di Medici Senza Frontiere Italia. In questa veste partecipa alla delegazione che ritira il premio Nobel per la pace assegnato all’ organizzazione.
Nel gennaio del 2000 Carlo Urbani dichiarò al quotidiano Avvenire: "Io mi occupo come consulente dell'Organizzazione Mondiale della Sanità delle malattie parassitarie. In tutti i consessi internazionali si ripete che la causa è solo una: la povertà. In Africa ci sono arrivato fresco di studi. E sono stato 'deluso' dallo scoprire che la gente non moriva di malattie stranissime: moriva di diarrea, di crisi respiratorie. La diarrea è ancora una delle cinque principali cause di morte al mondo. E non si cura con farmaci introvabili. Una delle ultime sfide che Medici Senza Frontiere ha accolto è la partecipazione alla campagna globale per l'accesso ai farmaci essenziali. Ed è lì che abbiamo destinato i fondi del Nobel.".
Dopo la Cambogia, il suo impegno lo porta nel Laos, e quindi in Vietnam. Nelle ultime settimane di vita si dedica con coraggio alla cura e alle ricerche sulla Sars, la terribile malattia respiratoria che minaccia il mondo intero. E’ perfettamente conscio dei rischi che corre, tuttavia, parlandone con la moglie, osserva: "Non dobbiamo essere egoisti, io devo pensare agli altri". All'inizio di marzo si reca a Bangkok per un convegno, nulla lascia intuire che abbia contratto il contagio. Dopo l'arrivo i sintomi si manifestano con forza e Carlo, tra i primi a occuparsi della malattia, capisce benissimo la propria situazione. Ricoverato in ospedale a Bangkok avverte la moglie di far tornare in Italia i figli, che vengono subito fatti partire. L’amore per il prossimo che lo ha accompagnato tutta la vita, lo fa rinunciare anche all'ultimo abbraccio per evitare ogni possibilità di contagio. La moglie gli resta vicina, ma nessun incontro diretto è più possibile.
Dopo avere ricevuto i sacramenti, Carlo Urbani muore il 29 marzo 2003.
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